Molte mamme all’inizio
della gravidanza sono colte da dubbi e incertezze. Una delle domande più comuni
delle future mamme, soprattutto sein attesa del primo figlio, riguarda gli
esami a cui sottoporsi nel corso della gestazione. Il test del DNA fetale ad
esempio è un esame di screening prenatale non invasivo che si può svolgere già dalla 10ᵃ settimana.
Quali sono le differenze tra test prenatali non invasivi e test diagnostici
invasivi.
Non tutti i test di screening prenatale hanno le
stesse percentuali di affidabilità nella rilevazione delle principali anomali
cromosomiche.
Esami combinati come il Bi test, il Tri test e il Quadri test, che
analizzano i valori di alcune proteine nel sangue e prendono in considerazione le
misurazioni sul feto derivate da un esame ecografico detto translucenza nucale,
hanno una percentuale di attendibilità non molto alta, di circa l’85%1.
Fra i test di screening prenatale non invasivi rientra anche il test basato
sull’analisi del DNA fetale. Questo
tipo di test si svolge solamente su un campione di sangue della madre, nel
quale vengono individuati i frammenti del DNA del feto (che circola normalmente
nel sangue materno durante la gravidanza). L’analisi del DNA fetale permette di
indicare se nel feto sono presenti anomalie cromosomiche, tra cui la Sindrome
di Down e le trisomie 18 e 13, con affidabilità elevata, pari al 99,9%2.
Gli esami definiti
“diagnostici” invece, sono di tipo invasivo, e questi sono amniocentesi, villocentesi
e cordocentesi. Questi test analizzano campioni di liquido o di tessuto
prelevati direttamente dal feto o dai tessuti extraembrionali, riuscendo ad
individuare con certezza la presenza di anomalie, fornendo quindi una diagnosi precisa
sulla salute del feto. Questi esami invasivi si effettuano tramite un prelievo
nella pancia della gestante: con l’amniocentesi si preleva un campione di
liquido amniotico, con la villocentesi un campione di tessuto placentare, mentre
con la cordocentesi si preleva un campione di sangue cordonale. Questi esami
diagnostici, data la loro invasività, presentano una percentuale di rischio di aborto dell’1%.
La decisione del
ginecologo di sottoporre la gestante a uno o più di questi test dipende dal suo
stato di salute e dall’eventuale presenza di fattori di rischio, come età della gestante sopra ai 35 o presenza
di anomalie genetiche in famiglia.
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Fonti:
1. Medicina dell'età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti
congeniti e delle principali patologie gravidiche Di Antonio L. Borrelli, Domenico
Arduini, Antonio Cardone, Valerio Ventrut
2. Poster
Illumina ISPD_2014 Rev A