lunedì 6 marzo 2017

Test di screening e di diagnosi prenatale: le differenze

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente Genetica


Molte mamme all’inizio della gravidanza sono colte da dubbi e incertezze. Una delle domande più comuni delle future mamme, soprattutto sein attesa del primo figlio, riguarda gli esami a cui sottoporsi nel corso della gestazione. Il test del DNA fetale ad esempio è un esame di screening prenatale non invasivo che si può svolgere già dalla 10ᵃ settimana. Quali sono le differenze tra test prenatali non invasivi e test diagnostici invasivi.
  La peculiarità dei test di screening prenatale non invasivi è di combinare analisi biochimiche, effettuate sul sangue materno, ad esami ecografici. Il risultato combinato permette di rilevare se ci sono esiti anomali rispetto ai valori considerati standard. Questi esami sono completamente sicuri. Infatti, non mettono a rischio la salute di mamma e feto. I test di screening prenatale si dicono di tipo probabilistico poiché, combinando i risultati del test ai parametri standard, danno un esito in percentuale sulla probabilità che il feto abbia delle anomalie cromosomiche o genetiche (come trisomie o difetti del tubo neurale).

Non tutti i test di screening prenatale hanno le stesse percentuali di affidabilità nella rilevazione delle principali anomali cromosomiche. 

Esami combinati come il Bi test, il Tri test e il Quadri test, che analizzano i valori di alcune proteine nel sangue e prendono in considerazione le misurazioni sul feto derivate da un esame ecografico detto translucenza nucale, hanno una percentuale di attendibilità non molto alta, di circa l’85%1.
Fra i test di screening prenatale non invasivi rientra anche il test basato sull’analisi del DNA fetale. Questo tipo di test si svolge solamente su un campione di sangue della madre, nel quale vengono individuati i frammenti del DNA del feto (che circola normalmente nel sangue materno durante la gravidanza). L’analisi del DNA fetale permette di indicare se nel feto sono presenti anomalie cromosomiche, tra cui la Sindrome di Down e le trisomie 18 e 13, con affidabilità elevata, pari al ​99,9%2.

Gli esami definiti “diagnostici” invece, sono di tipo invasivo, e questi sono amniocentesi, villocentesi e cordocentesi. Questi test analizzano campioni di liquido o di tessuto prelevati direttamente dal feto o dai tessuti extraembrionali, riuscendo ad individuare con certezza la presenza di anomalie, fornendo quindi una diagnosi precisa sulla salute del feto. Questi esami invasivi si effettuano tramite un prelievo nella pancia della gestante: con l’amniocentesi si preleva un campione di liquido amniotico, con la villocentesi un campione di tessuto placentare, mentre con la cordocentesi si preleva un campione di sangue cordonale. Questi esami diagnostici, data la loro invasività, presentano una percentuale di rischio di aborto dell’1%​.
La decisione del ginecologo di sottoporre la gestante a uno o più di questi test dipende dal suo stato di salute e dall’eventuale presenza di fattori di rischio, come età della gestante sopra ai 35 o presenza di anomalie genetiche in famiglia.
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Fonti:
1.  Medicina dell'età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche ­Di Antonio L. Borrelli, Domenico Arduini, Antonio Cardone, Valerio Ventrut

2.  Poster Illumina ISPD_2014 Rev A